Le imprecazioni aumentano la forza, ma non il fascino

In questa puntata parliamo di una particolare modalità di comunicazione, il turpiloquio. Delle parolacce, del linguaggio volgare. Siete anche voi tra quelli che ogni tanto si lasciano scappare una parolaccia o tra quelli che ne dicono in continuazione? E, ancora, c’è chi non ne dice?
(Scorrendo puoi leggere la trascrizione dell’audio)

Le imprecazioni aumentano la forza, ma non il fascino

Come sempre, vi invito a lasciarmi i vostri commenti, su annarosapacini.com trovate la mia e-mail o i link per accedere alle mie pagine social, scegliete il canale che preferite.
Ho letto su Repubblica.it un articolo dal titolo: “Ecco perché imprecare ti rende più forte”. Uno studio condotto da Richard Stephens, psicologo dell’Università di Keele (Regno Unito), ha dimostrato che le parolacce, in situazioni faticose, aumentano davvero la nostra forza. Ha chiesto a due gruppi di persone, giovani, tra i 19 e i 21, di cimentarsi in due diverse performance fisiche: quelli del primo gruppo dovevano pedalare per mezzo minuti su una cyclette, quelli del secondo cimentarsi in una stretta di mano per dieci secondi. Gli uni e gli altri, ripetendo continuamente, con tono uniforme e senza urlare o una parolaccia (una capace di regalare una scarica di adrenalina, come quella che si sceglierebbe quando si sbatte la testa contro un ostacolo) o un termine considerato neutrale (come uno in grado di definire un tavolo, tipo “legno”).
Alla fine del test, il risultato non ha lasciato dubbi: imprecare durante la pedalata aumenta la potenza di ventiquattro watt e lo stesso effetto si ottiene quando si stringe la mano, la cui forza cresce di circa due kg. Il perché di questo strano fenomeno (testato, però, solo nel breve periodo) tuttavia non è ancora chiaro. Forse le parolacce scatenano una reazione del sistema nervoso simpatico, il cui stimolo dovrebbe conferire maggiore forza. Eppure i battiti cardiaci non aumentano, diversamente da quanto ci si aspetterebbe se il responsabile del surplus di energia fosse proprio il sistema nervoso simpatico.
Curiosamente, comunque, imprecare sembra avere un effetto magico in più occasioni, poiché un precedente studio, condotto sempre da Richard Stephens, aveva dimostrato come uno sfogo tramite turpiloquio sia in grado di aumentare la sopportazione del dolore.

Le parole come strumento per apparire

In attesa di decifrare definitivamente il mistero che si nasconde dietro le parolacce, possiamo consolarci affermando che un linguaggio colorito non è più solo indice di maleducazione, ma un comportamento istintivo con una precisa utilità, quantomeno in determinate circostanze.
Ora, dovremmo chiederci perché un esimio professore sia così interessato all’effetto delle parolacce, chissà se le dice o se subisce. L’argomento è vasto, ma, al di là di queste ricerche, potremmo fissare alcuni punti: in età giovanile, la parolaccia attira perché, come tanti altri simboli, fa sentire chi la dice più importante. Si appartiene al gruppo. Questo, da sempre. Oggi, forse, ancora di più, perché alcune regole base sono molto meno forti. E poi i ragazzi sono circondati da idoli che fanno uso delle parolacce liberamente. Ho ascoltato una puntata di uno youtuber specializzato in videogiochi, tra i più amati da bambini e ragazzi: una parola ogni dieci iniziava con la “c2 e finiva con la “o2. Praticamente, in un live di 40 minuti avrà ripetuto la stessa parolaccia venti o trenta volte. Perché? Povertà di vocabolario? Così sembra più giovane? Aumenta la sua forza fisica? Non so voi. Con tutti il rispetto per lo youtuber, io trovo un po’ triste che una persona debba usare le parolacce con cotanta insistenza per attirare il suo pubblico. Anche nei comici, l’eccesso di turpiloquio perde in humour, my opinion, naturalmente.

Quando la parolaccia ci trascina

Le parolacce, però, non appartengono solo al mondo giovanile. Imprecazioni e parole volgari sono usate anche dagli adulti. Gli uomini, spesso, le usano per scaricare la propria rabbia, esprimere disappunto, o anche essere offensivi. Le donne, soprattutto per direzionare la rabbia e l’aggressività che non riescono a scaricare in altro modo. In genere, chi “segue” la rabbia non riesce a gestire bene le proprie emozioni. C’è poi chi colorisce il proprio linguaggio per nascondere delle difficoltà – anche se non lo sa – ad esempio, a sostenere il proprio pensiero, a rispondere alle critiche, per darsi un contegno quando si sente in imbarazzo. In questo senso, non c’è differenza di genere, anche se è più facile che un uomo abituato a farlo lanci imprecazioni in casa e fuori, mentre una donna che usa parole volgari in casa, fuori tende a temere di più il giudizio morale.
In generale, non è un segnale di buona comunicazione. L’uso occasionale, casuale di una parolaccia, può essere motivato da una causa contestuale (come lo sforzo fisico). Ma se non è occasionale, se a voi piace dire le parolacce e pensate che serva, dovreste chiedervi perché.

Quando la parolaccia ci trascina

Ad inizio puntata ho chiesto se c’è ancora chi non ne dice. Io mi metto in questa lista. Non le dicevo neanche quando ero molto più giovane, forse perché riuscivo a trasmettere la giusta forza anche tramite le parole educate. Non le trovo affatto una manifestazione di forza. Ogni mancanza di rispetto, anche verbale, è comunque, una forma sottile di violenza. Una volta una donna, giovane, che impreca anche in pubblico, disse che le sue parole non offendevano nessuno, perché non avevano significato, in quanto non era una persona religiosa. Ma il significato delle nostre parole colpisce gli altri. Ed è per questo che dovremmo usarle con saggezza.
Grafologicamente, scritture con molta tensione, molti angoli, con inclinazione letterale molto accentuata verso destra, gesti accessori molto accentuati, dai trattini delle t alle parti finali delle vocali, indicano una forte reattività, un desiderio di affermazione, una tensione che facilmente può sfociare in aggressività verbale. Che non significa, necessariamente, turpiloquio. Perciò, se sentite di avere bisogno di usare un linguaggio volgare per affermare il vostro pensiero – cioè se vi pare di non poterne fare a meno, se siete diventati schiavi del linguaggio volgare -, e se questo non rende particolarmente felici né voi né gli altri, forse è il momento di rifletterci e di provare a cercare strategie più costruttive.
Una nota per i genitori: per favore, ascoltate anche voi gli idoli dei vostri figli. Non criticateli anche se a voi non piacciono, ognuno e ogni tempo ha i propri idoli, ma dialogate con i vostri figli e insegnategli a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Perché il rispetto passa anche attraverso le parole. E il buon esempio.
Vi aspetto, come sempre, su annarosapacini.com, per essere aggiornati sui miei progetti, o sul social che preferite. Infine, vorrei ringraziare tutti i nuovi follower del canale podcast, grazie, se volete lasciate un commento, o una valutazione su iTunes, leggo sempre con grande piacere i vostri messaggi.
Immancabile, l’aforisma della puntata: “Non mi importa quale sia il tuo pensiero, purché ci sia un pensiero e che sia il tuo. Di questo ho rispetto.” (Massimo D’Amico)

Torna in alto