Sei cattivo e non lo sai

In questa puntata voglio condividere con te una riflessione sui rapporti umani, e su quanto, a volte, siamo inconsapevoli degli effetti che produciamo sugli altri. Devo dirti, e mi spiace, che sicuramente sei cattivo anche tu, anche se non lo sai o non vorresti esserlo. Basta poco per essere cattivi. Una frase tagliente, modi bruschi, gesti scortesi. Modi, toni, parole, che esprimono aggressività e stati d’animo di sofferenza interiore. Il problema è proprio questo: siamo cattivi perché non stiamo bene. E così produciamo ingiustificato ed inutile malessere negli altri, che, a loro volta, diventano “cattivi”. Per risolvere questo problema la buona comunicazione è tutto. Ti aiuta a capire cosa vuoi davvero comunicare, a farlo senza essere “cattivo”, a rendere la tua vita e quella degli altri migliore. Sul lavoro, ti permette di creare ambienti in cui le persone vogliono lavorare e rimanere. Nella coppia, un mondo bellissimo in cui ritemprarvi. In famiglia, ad evitare di creare futuri esseri umani cattivi. Un mondo migliore dipende anche da te. In questa puntata ti spiego come capire quando sei cattivo e perché sei cattivo. Ascoltala, e poi dimmi, sinceramente, se qualche volta sei stato cattivo anche tu.
(Scorrendo puoi leggere la trascrizione dell’audio)

Sei cattivo e non lo sai

Essere cattivi è svantaggioso
Inizio subito con una definizione di cattivo che trovo molto calzante. Cattivo nel senso di “Maldisposto nei rapporti con altre persone, quindi anche scortese, duro, restio a concedere (…)” Riferito agli atti, infatti, si parla di cattive parole, dette con malanimo, offensive; cattive maniere, brusche, scortesi, violente; rivolgere uno sguardo cattivo, esprimente ostilità, astio, oppure guardare con occhi cattivi, rispondere con voce cattiva, in tono cattivo”.
D’altronde, se applichiamo l’aggettivo “cattivo” ad un cibo, ad esempio, intendiamo dire che è “spiacevole e sgradito”. Ma cattivo vuol dire anche “dannoso e svantaggioso”, pensiamo a frasi come “fare un cattivo affare”, “avere carte cattive”, “è stata una cattiva idea”.
Quindi, essere cattivi è svantaggioso. Nella comunicazione interpersonale, doppiamente svantaggioso.

La cattiva comunicazione produce infelicità

Sergio è un uomo di sessant’anni. Viene da me perché ha dei problemi con la moglie. Discutono sempre. Il motivo della discussione pare essere il fatto che trascorra molte ore a chattare con donne sconosciute sui social. Quella è stata la scintilla scatenante, o, come preferisco definirla io, una grande occasione per la sua vita. La grafologia evolutiva applicata alla dinamica comunicativa di coppia ha evidenziato una dinamica di base che accompagnava da sempre la loro relazione. Sergio era dominante, bisognoso di gratificazione, affettuoso quanto basta ma non sentimentale, piuttosto inflessibile rispetto alle sue regole e abbastanza duro nei modi, anche verbalmente. Lei, Laura, era molto più propensa a mediare, ma ugualmente rigida, sebbene in altre maniere, e anche lei, capace di scatenare offensive verbali molto forti.
Partendo da una comprensione profonda e vera di sé hanno potuto gestire in modo nuovo i sentimenti che provavano e risolvere molte incomprensioni che avevano negato per tutta la storia del loro rapporto. Ma negare delle incomprensioni non le cancella, di solito, le rafforza. Lui chattava perché si sentiva poco compreso. Si sentiva poco compreso perché, in effetti, Laura non sopportava più i suoi modi da comandante, ed era diventata sempre più distante, anche fisicamente. Lo comprendeva, ma si era stufata di sopportarlo. Hanno avuto molte cose da chiarirsi, prima di tutto, ciascuno per sé, il cambiamento della visione di coppia, del proprio ruolo nella coppia, i reciproci e diversi obiettivi, con il passare del tempo e il cambiare della vita. Avevano però anche un obiettivo comune: salvare il loro rapporto e trovare un modo per essere più felici. A partire dalla comunicazione quotidiana, dal vivere insieme, dalle piccole cose. Ci sono riusciti.
Mentre facevamo questo tipo di lavoro, Sergio ha iniziato a riflettere su tutte le sue dinamiche relazionali e sul suo modo di comunicare, perché gli sono aperti universi sconosciuti, un po’ come in Star Trek. Ha capito che quando avvertiva, interiormente, di non essere rispettato o ascoltato come avrebbe voluto, in genere reagiva esprimendo a livello verbale giudizio e ostilità. Questo sul lavoro lo aveva reso un superiore poco gradito, e ancora di più in famiglia, dove nella sua interazione quotidiana dava il peggio di sé.
Gli esempi che ti faccio adesso, pur veri, sono “edulcorati”, cioè ho sostituito le parolacce con frasi che le rappresentino, ma tu puoi immaginarti le parolacce, rende meglio l’idea.
Il figlio frequentava una persona che non gli piaceva? “Non capisci niente, non sai nemmeno sceglierti gli amici”
Il figlio prendeva un brutto voto a scuola? “Diventerai un fallito se continui così, io non ero come te, alla tua età già facevo… ero…”
Il figlio cercava di frequentare corsi diversi da quelli che lui gli indicava? “Se non fai quello che ti dico io non cambierai mai e resterai sempre una mezza calzetta”.
Ma ancora prima, sin da quando era piccolo, la stile comunicazionale era sempre stato quello.
Il figlio mangiava la pizza con le mani? “Sei peggio di un selvaggio, mi fai schifo”
Non metteva il tappo alla bottiglia sul tavolo? “Non capisci mai, mi fai imbestialire”, e spesso ci scappava anche una sberla, seguita da strilli e altre sequele di frasi offensive.

Più ti amo più ti ferisco?

Ora, se ci pensi, sono sicura che qualche frase di questo tipo l’hai detta anche tu, in famiglia. In genere, le frasi peggiori vengono dette alle persone più vicine, mentre si cerca di mantenere un certo contegno e una certa apparenza con chi è più distante, perché ci teniamo. A non fare brutta impressione, a non essere fraintesi, a non ferire quelle persone. Invece, a partners, figli, genitori, parenti vari – secondo l’ordine di presenza nella nostra vita -, diciamo di tutto e di più.
Ti faccio una domanda: tutte le volte in cui sei stato tu il destinatario di una frase di questo tipo, sei stato meglio? Ti ha aiutato? Non vedevi l’ora che te ne dicessero un’altra? Dubito fortemente. Magari, hanno prodotto degli effetti, ma non vuol dire che fossero adatte e giuste e che creassero valore e felicità nella tua vita.
Ti faccio un esempio semplice di come, cambiando la comunicazione, possiamo evitare di essere cattivi e produrre effetti buoni, cioè creare un clima relazionale positivo e costruttivo, portatore di futuri migliori.
Parliamo di intelligenza, voti scolastici, impegno scolastico, soprattutto, di relazioni e di visioni.
Un figlio prende un voto basso a scuola. Tutte le frasi offensive, che lo giudicano, non servono a niente. Da un lato, creano sentimenti negativi, dall’altro amplificano l’effetto Pigmalione e, alla fine, lo faranno sbagliare sempre di più.
E’ necessario concentrarsi sull’obiettivo, sui risultati ottenuti e attesi, sulle cause e sulle soluzioni.
Se un figlio prende un tre, dirgli che è colpa sua, che è sempre così, che fa pena, che non vale niente, che è meno intelligente degli altri, che non studia mai, che non cambierà mai, non trasforma il tre in una sufficiente.
Parlargli, spiegargli che con l’impegno è possibile raggiungere ogni obiettivo, che un voto basso oggi non vuol dire un voto basso domani, perché è lui a decidere cosa fare e come fare, e che sicuramente otterrà un voto migliore la prossima volta, produrrà effetti positivi.
Il voto è l’effetto di un atteggiamento, sentimenti, metodi, organizzazioni. Non esprime il valore di un figlio.
Non gli cambia la vita. Riuscire invece a migliorare gliela cambierà, perché gli permetterà di attivare la sua resilienza.
Questo vale per tutte le relazioni. Puoi anche fare un piccolo esercizio per scoprire cosa si nasconde dietro una frase “cattiva” che dici. Tutti le sappiamo riconoscere, perché le persone cui le indirizziamo restano colpite, incassano, fuggono, reagiscono, super reagiscono, il tipo di reazione dipende dal tipo di temperamento di base. Ma anche dove la reazione non si vede, l’effetto è certo.

Più ti amo più ti ferisco?

Adesso, pensa ad una frase “cattiva” che dici spesso. Ricordati perché la dici.
Ti faccio un ultimo esempio su come funziona la buona comunicazione. Una moglie torna a casa dal lavoro, vede il marito seduto sulla poltrona, il figlio che gioca. Frase: “Ma che … fai? Non ha visto che stavo facendo tardi? Potevi almeno mettere una pentola d’acqua a bollire”. Lui, che nemmeno se lo aspetta, risponde di pari tono, o lamentandosi di lei, o della sua giornata, o di altre cose e di altri momenti. Questo può innescare una serie di reazioni, da quella minima, si arrabbiano, poi gli passa, a quella che sfocia in una serata di discussioni.
Rewind. Stessa scena. La moglie torna a casa dal lavoro, vede il marito seduto sulla poltrona, il figlio che gioca. Ma lei è in grado di trovare il modo giusto di reagire. Parla, non si arrabbia, spiega, non giudica, esprime, non attacca. Potrebbe dirgli: “Sono stanchissima, mi avrebbe fatto piacere trovare qualcosa già pronto. Tu come stai? Come ci organizziamo”, se è un tipo che preferisce orientarsi sugli aspetti pratici. Se invece per lei sono importanti i gesti carini, e le è rimasta abbastanza energia, arriva, si toglie le scarpe, si mette anche lei spaparanzata, e dice: “Ordiniamo la pizza?” e poi, mentre mangiano, gli spiega come sta, cosa prova, lo ascolta, anche lui avrà le sue cose da dirle. Stare insieme non vuol dire certo dimenticarsi di parlarsi e di vedersi veramente.
Quindi, ripensa alla tua “frase cattiva”, trova i motivi veri, i sentimenti, i desideri, le aspettative che nascondi, e cerca di esprimerli per essere compreso, non per avere ragione. La risposta potrebbe stupirti.
Allo stesso modo, se c’è una frase “cattiva” che ti colpisce, non farla cadere nel nulla, non ti abituare. Non c’è giustificazione, nel far soffrire chi ci vuole bene. Chiedi cosa voglia dire, parlatene. Parlare aiuta sempre.
Se vuoi, posso aiutarti a lavorare sul tuo stile comunicativo migliore, fondato sulla tua natura originaria. Scrivimi, o telefonami. Trovi i miei recapiti su annarosapacini.com, via social o Whatsapp, se preferisci.
Ho scelto, per concludere questa puntata, un aforisma di Emily Dickinson, che mi piace, perché posso svilupparlo in una direzione che mi è congeniale. Ha detto la Dickinson
“Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere”
Di questo sono convinta, le buone parole e la buona comunicazione possono davvero illuminare di bello la vita. E non dimenticare, se ti piace questo podcast, scrivi una recensione e abbonati per non perdere i prossimi episodi.
Ti ringrazio per essere stato con me. Alla prossima puntata.

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