Quello dell’insegnante è un mestiere bellissimo e difficile, o dovrei scrivere, era. Negli ultimi tempi, è soprattutto difficile, ed è diventato anche pericoloso. Oppure, sono diventati pericolosi i genitori. Insegnanti picchiati, presi a botte, quasi strozzati, dai genitori e a volte anche dagli stessi studenti. Perché? Perché un genitore non riesce ad accettare l’insuccesso di un figlio? A scuola ci si va per imparare. Per imparare – e non solo a scuola – servono buona volontà, impegno, disciplina. Fatica, anche. Ed è così che si cresce, si matura, si diventa persone più responsabili e capaci di affrontare il mondo, e le sue difficoltà. Forse dovremmo cambiare la prospettiva causa-effetto di certi episodi. Apparentemente: causa, brutto voto del figlio; effetto, genitore che aggredisce un insegnante. Se cambiamo prospettiva, potremmo ottenere: causa, genitore stressato, aggressivo, irrazionale, incivile, relazioni familiari in disequilibrio; effetto, brutti voti a scuola. E se proprio la responsabilità fosse dell’insegnante, non c’è altra strada, oltre quella dell’aggressione fisica, per risolvere e trovare un punto di incontro?
Fare l’insegnante non è facile. Spesso, molti insegnanti si trovano ad insegnare senza che quella fosse la loro prima vocazione. Insegnanti che fanno del proprio meglio, che sono brave persone, magari ottimi professionisti, Chimici, Biologi, Architetti, Matematici, Laureati in Lettere, in Filosofia, in Storia, aspiranti concertisti o campioni sportivi. Pochi sono pedagogisti ed esperti dell’età evolutiva. Sì, ci sono gli insegnanti giovani laureati con formazione ad hoc, un ottimo punto di partenza. Gli anni di università dovrebbero essere soltanto l’inizio di un percorso che dura tutta la vita.
Pedagogia, didattica, cognitivismo, comportamentismo, costruttivismo, effetto Pigmalione, linguaggio del corpo… dalle teorie complesse a quelle più specifiche, quanto c’è sempre da imparare. Se poi pensiamo che sono costantemente nell’occhio del mirino e sotto stress – oggi la scuola è tutta una sfilza di scadenze e adempimenti da rispettare, di fogli da riempire, di incontri da fare -, è comprensibile che non sempre possano essere al cento per cento. E’ pur vero che chi sceglie di fare l’insegnante lo fa perché gli piace l’idea di insegnare. Certo, negli anni, la considerazione sociale della professione dell’insegnante è molto cambiata. E questo è un grande errore, perché gli insegnanti sono i veri maestri dei nostri figli. Soltanto per questo, per il loro coraggio di affrontare ogni giorno le proprie difficoltà e quelle del loro lavoro, meritano il nostro rispetto.
Così, vi ho già svelato la mia posizione: non sono pro insegnanti e neanche contro. So che ci sono insegnanti capaci, persone che davvero vedono il loro lavoro come una missione, ne conosco e ne ho incontrati. Anche insegnanti magari non “illuminati” ma comunque costantemente impegnati per fare del loro meglio.
E conosco anche insegnanti che fanno il proprio lavoro senza più ispirazione, che si sentono come in trincea, che ce l’hanno con tutto e con tutti, a partire dai loro studenti, e che interagiscono con gli studenti in un modo non giustificabile, per il ruolo che ricoprono.
Gli insegnanti non sono una categoria. Prima di essere una categoria, sono esseri umani. E come tutti gli esseri umani, vivono una realtà che condiziona la loro vita e anche il loro lavoro. Quanto, come, dipende. Dal temperamento, dalle esperienze di vita, dal rapporto con i colleghi, dalle classi che gli vengono affidate, dalla felicità – o meno – della loro vita personale.
Ma questo vale per tutti. Anche per un avvocato, un operatore ecologico, un barman, una cassiera, un dentista o una segretaria, un parroco o un cantante e così via.
Non è però che tutti i giorni la cronaca riporti notizie di persone che aggrediscono operatori ecologici, barman, dentiste o cantanti. Eppure, anche loro non saranno perfetti.
“Senza conoscenza l’uomo perde anche l’anima, non solo la saggezza”
Qualcuno mi dirà che non hanno a che fare con i nostri figli, ma tutti hanno a che fare con qualcuno. E gli insegnanti sono preziosi. Andrebbero sostenuti, valorizzati, aiutati. Sono lì per i nostri figli. Sbagliano? Può capitare.
Ma ci sono due cose che ho imparato, su questo argomento. La prima, quando ero studente. Se studi davvero, anche l’insegnante più ostile alla fine riconosce il tuo merito. Quindi, lamentarsi non serve quanto serve studiare. La seconda, quando facevo l’insegnante. Non esistono studenti “stupidi”, che “non capiscono niente”, che “vanno puniti” perché ad un insegnante non piace come sono (timidi o impacciati, esuberanti o sfrontati…). Esistono solo studenti che aspettano chi sappia aiutarli a riconoscere il loro valore. Ho incontrato ad inizio anno scolastico decine di studenti convinti di essere “stupidi”, che, durante l’anno, hanno scoperto non solo che non erano affatto incapaci, ma che erano davvero dotati. A decenni di distanza, ne incontro che mi riconoscono e mi salutano, mi chiedo a volte come faccia a ricordarsi di me chi mi ha avuto come supplente solo per qualche mese. Ma so perché si ricordano: perché credevo in loro. Non facevo l’insegnante, ero un insegnante. Per questo ho poi scelto la strada della formazione, per poter aiutare le persone – tutte, non solo i ragazzi – nei modi e con gli strumenti che ritengo migliori. E questo mi ha permesso, e mi permette, di aiutare non solo gli studenti, ma anche gli insegnanti.
Allora, i ragazzi vanno a scuola per imparare. Il vero studio non è una sequela di dati e nozioni avulsi dalla vita. E’ soprattutto un allenamento nei confronti della vita, un allenamento ad una forma mentis capace di sviluppare il pensiero critico, di renderci cittadini del mondo in grado di essere padroni della nostra vita e di comprendere la realtà che ci circonda. Proprio per questo dovremmo volere insegnanti equi e giusti.
Uno studente prende un quattro. Valutiamo la situazione. Se ha preso quattro perché non ha studiato, sarà un’occasione per capire che serve impegno, a scuola come nella vita. Per sfidarsi e migliorare. Se ha preso quattro perché l’insegnante ce l’ha con lui/lei ma il compito è da lode accademica, facile da dimostrare: vuol dire che sarà un caso eccezionale, tutti gli altri voti saranno buoni, e lo studente riuscirà a prendere un voto alto alla prima occasione. Se l’insegnante perseverasse, allora basterebbe chiedere una valutazione esterna di quei compiti da lode accademica. I dirigenti scolastici esistono per un motivo. Se ha preso quattro perché l’insegnante è un po’ severo, o troppo critico, o lo studente ha delle difficoltà, bisogna parlare. Genitori e insegnanti, insieme, per capire, per costruire, per risolvere.
Il link che vedete in fondo pagina rimanda ad un articolo pubblicato su “Repubblica.it”: per un bocciatura un tentativo di strangolamento, che si aggiunge alle decine di aggressioni, da parte di genitori e studenti, avvenute soltanto nei primi quattro mesi del 2018.
Quando c’è un problema a scuola, la soluzione è una sola: ascoltare, capire, parlare. Se c’è un problema, va affrontano, non negato, nè sottovalutato. Se ci sono responsabilità, vanno individuate e ciascuno deve sostenere le proprie. Più di tutto, dovremmo sostenere i ragazzi, insegnargli a fare sempre meglio, a non rinunciare. E, soprattutto, ricordarci che la prima cosa che funziona, come solo le cose vere e autentiche funzionano, è il buon esempio.
Serve molto coraggio per fare gli insegnanti per davvero. Serve molto coraggio per fare i genitori, per mettersi in discussione, per davvero. E serve tanta speranza per essere giovani. Non togliamo loro la speranza.
Da “Repubblica.it”: “Suo figlio è bocciato”: il padre picchia e cerca di strozzare un giovane professore a Roma